Dopo l’esame del Parlamento, il Governo sembra aver preso posizione su un tema particolarmente importante per i RUP: la cancellazione dell’abuso d’ufficio.
L’art. 323 del codice penale è stato da sempre nel mirino del legislatore che lo ha riformato periodicamente, con l’obiettivo, negli ultimi tempi, di circoscriverne la portata per superare la “burocrazia difensiva”, ossia la preoccupazione di firmare provvedimenti che possano essere contestati in sede penale. La riforma del Governo Draghi, contenuta nel D.L. 76 del 2020, non sembra esser stata risolutiva e le proposte discusse nelle ultime settimane andavano in direzioni diverse: l’abrogazione (proposta di legge Rossello: A.C. 645, poi fatta propria dal Governo), l’accorpamento nel reato di traffico di influenze illecite (proposta di legge Pittalis: A.C. 645) oppure la depenalizzazione (proposta di legge Costa: A.C. 654). La discussione si è incardinata sulla la proposta di legge Pella (A.C. 716) che intendeva riformulare in senso più restrittivo, ma poi è arrivata la decisione del Governo per l’abolizione completa.
In pochi osservano che il reato, dal contenuto molto generico nella sua prima formulazione e per questo residuale, contempla due diverse fattispecie: a) la violazione di regole di condotta; b) il conflitto d’interesse. La formulazione della prima ipotesi può ingenerare dubbi applicativi sull’interpretazione dei comportamenti al netto dell’esercizio della discrezionalità che il D.L. 76/2020 ha voluto escludere. Il conflitto d’interesse risulta invece una condotta presente i qualsiasi altro reato: ogni tipo di corruzione o di reato contro la PA contiene in sé l’esercizio di un interesse privato dell’autore o di terzi che compormette l’imparzialità ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione.
L’interesse dei RUP dovrebbe portare la nostra Associazione a chiedere l’abrogazione dell’art. 323, per restituire dignità a funzionari e dirigenti che hanno subito indagini che poi vengono archiviate. E ciò se si considera che nel corso del 2022 sono state chiuse senza incolpazione l’80 per cento dei procedimenti, con un numero estremamente basso di condanne. In sintesi solo una denuncia su cinque supera il vaglio della Procura per poi portare molto spesso all’assoluzione. Nel mentre passano mesi ed anni interminabili in cui la carriera del RUP è sostanzialmente compromessa a causa della rotazione straordinaria imposta dalla legge in caso di indagini e dal pregiudizio che inevitabilmente circola nei confronti della persona. Solo chi ha subito un procedimento penale ingiustamente sa cosa significa perdere la stima dei colleghi e la dignità del ruolo che si ricopre.
La principale questione che riguarda l’applicazione del reato nella fase d’indagine è l’accertamento dell’elemento soggettivo: il dolo. E’ evidente che non esiste delitto colposo e che la colpa grave, ossia la negligenza e imperizia, dovrebbe portare ad una responsabilità amministrativa o disciplinare.
Quanto impiega un pubblico ministero ad accertare che la ricostruzione di un denuncia-querela manca dell’intenzionalità? Infatti l’elemento oggettivo si configura quasi sempre: una violazione della condotta richiesta o la presenza di interesse con la mancata astensione. Circostanze che si integrano con l’ulteriore effetto del vantaggio o svantaggio altrui che non potrà mai essere giusto anche in caso di illecito amministrativo.
La questione più critica riguarda quindi la presenza dell’elemento psicologico.
ASSORUP è per mantenere l’abuso d’ufficio come reato dedicato esclusivamente al tema del conflitto d’interesse. Chi si occupa di contrasto alla corruzione nel sistema disegnato dal 2012 dalla Legge Severino, sa bene che il conflitto è la questione centrale e la lotta al conflitto richiede strumenti di prevenzione che intervengano sulla cultura della legalità e sulla costruzione del senso di appartenenza. Solo sentendosi appartenere all’amministrazione il dipendente rinuncia alle tentazioni di far prevalere i proprio interesse.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici prevede, all’art. 16, una nuova versione del conflitto sancendo che “In coerenza con il principio della fiducia e per preservare la funzionalita’ dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialita’ e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro”.
Ora chi invoca il conflitto può ritenere che si tratti di un comportamento colposo trovando applicazione le norme sulla responsabilità, amministrativa, contabile e disciplinare, oppure di un comportamento intenzionale che determinerà l’applicazione del reato.
In coerenza con il principio della fiducia e per preservare la funzionalita’ dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialita’ e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.
Ciò evidentemente non ridurrebbe il contenzioso penale, se non per il versante della fattispecie sulla condotta vincolata che – come detto – rientrerebbe comunque nella violazione dell’imparzialità determinata dal conflitto.
A ben vedere l’unico intervento necessario per migliorare il sistema sarebbe un intervento sul codice di rito per accelerare i giudizi contro la PA, dando risorse agli organi inquirenti e giudicanti. Altra strada pul essere sanzionare la superficialità con cui le denunce vengono consegnate alla Procura. Come abbiamo rilevato quattro su cinque vengono archiviate, non senza conseguenze per le persone coinvolte. Si potrebbe immaginare una sanzione amministrativa pecuniaria, in caso di archiviazione o assoluzione, in favore dell’amministrazione la cui imparzialità sia è lesa mediante una imprudente querela. Questo potrebbe essere un utile deterrente per togliere la spada di damocle dalla testa dei RUP che spesso vengono minacciati e denunciati ingiustamente.