Non sempre la stampa riporta correttamente le considerazioni che emergono dalle relazioni tecniche delle Istituzioni. Talvolta poi è la politica a strumentalizzare, in un senso o in un altro, quanto riportato nelle analisi degli organi dello Stato. E’ quanto avvenuto in questi giorni con la relazione che la Corte dei conti ha consegnato riguardo il Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica. Il Ministro Raffaele Fitto è stato accusato di voler introdurre limitazioni alle competenze della Corte dopo il rapporto che censurerebbe la gestione del PNRR.
Intanto osserviamo che il rapporto non riguarda lo stato di attuazione del PNRR; per quello c’è un apposito stumento di controllo ai sensi dell’art. 7, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2021 n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108. Il PNRR non era quindi il tema centrale del Rapporto che riguarda più in generale spunti e analisi sullo stato e le prospettive delle politiche di bilancio.
La rassegna delle quantificazioni proposte dal Governo e da altri soggetti pubblici nazionali ed europei, offerta nel Rapporto, mostra una convergenza nell’attribuire un terzo dell’impatto atteso alla maggiore efficienza di sistema di cui il Piano sarebbe portatore. Si ricorda che tale impatto nell’intero orizzonte del Piano varia dal 3,6 per cento delle prime stime del PNRR all’1,5 per cento dello scenario di bassa produttività della Commissione europea. Anche i mutamenti di quadro macroeconomico intervenuti dal 2021 possono giustificare una revisione delle stime. Particolare attenzione va data all’aumento dei prezzi e alla conseguente riduzione del valore reale della spesa che ha comportato un cambiamento in senso peggiorativo delle stime ufficiali sulla maggiore crescita conseguibile attraverso il PNRR.
La Corte dei conti pone l’attenzione sulla riduzione del valore reale che dovrebbe imporre una revisione complessiva del Piano Nazionale, i cui ritardi non dipendono soltanto da criticità della fase di affidamento, ma dalla difficoltà di promuovere procedure di appalto con valori stimati che non sono più adeguati rispetto alle previsioni iniziali. In sintesi, le basi d’asta non sono corrette perché i fondi non tengono conto delle variazioni in aumento dei prezzi e quindi, senza adeguamenti, non possono partire le procedure. Si tratta della principale causa di rallentamento alla quale si aggiunge l’assenza del rafforzamento delle competenze della stazioni appaltanti. Nessun investimento significativo sulla professionalizzazione del personale, nessun incentivo per fare presto e fare bene.
Mentre l’opinione pubblica è occupata dalle polemiche tra il Ministro e la Corte, passa in secondo piano che, a differenza di quanto avvenuto con il Governo Draghi dove la Commissione europea ha gentilmente soprasseduto su alcuni ritardi consegnando la seconda traches di investimenti, gli Uffici di Bruxelles stanno resistendo al pagamento dell’importo di 19 miliardi, previsto per aprile e che sembra arriverà ad agosto. Colpa del Governo o rigidità della Commissione?